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Sistema
in crisi Cresce il Pil peggiora la
produttività di
Saverio Collura L’aggiornamento
delle previsioni macro-economiche pubblicato in questi giorni dall’Unione
Europea, dall’Istat e dall’OCSE evidenzia un miglioramento delle prospettive
congiunturali dell’Italia rispetto alla precedente valutazione. Le tre fonti
concordano nell’indicare una crescita del Pil per l’anno in corso pari a
+0,9% (in precedenza era stato indicato un possibile incremento di + 0,7%).
In linea con le previsioni formulate dal governo viene valutato l’incremento
del Pil per gli anni 2016-2017, stimato in + 1,4%. Anche l’incidenza del
debito pubblico, che nel 2015 toccherà il massimo storico con il 133% del
Pil, viene stimato in leggero calo, ed indicato al 132,2% per il 2016 ed al
130,0% per il 2017. Finalmente dopo tanti anni, l’aggiornamento delle previsioni
dei dati macroeconomici, che aveva evidenziato sempre e sistematicamente un
peggioramento rispetto alle previsioni precedenti, oggi può registrare una
fase di maggiore tranquillità (o forse di minore criticità?). In particolare
possiamo immaginare che dopo oltre sei anni il Pil ricomincia a crescere, ed
il debito pubblico, aumentando ancora in valore assoluto (e questo è
l’aspetto fortemente preoccupante), dimostra una flessione rispetto al Pil:
la motivazione quindi risiede nell’aumento del denominatore; dato questo
consolatorio fino a quando avremo i tassi di interesse ai livelli attuali
(praticamente zero). Ma tutto ciò può giustificare l’onda di euforia e di
ottimismo che promana dal sistema dei mass - media nazionali, e cavalcata dal
governo? Diciamo subito che se il trend di maggior incremento delle grandezze
macroeconomiche dovesse essere confermato ai livelli indicati per il prossimo
triennio, il nostro Paese potrebbe recuperare i valori della ricchezza
registrati nel 2007 (ultimo anno prima della grande crisi) solo alla fine del
2020; mentre tutti gli altri paesi industrialmente avanzati hanno conseguito
l’obiettivo già da almeno due anni rispetto al 2015. Inoltre le stesse fonti
che hanno ufficializzato le previsioni sopra ricordate hanno contestualmente
indicato che il contenuto miglioramento dei dati italiani deriva per larga
parte da una serie di effetti positivi e congiunturali quali il deprezzamento
dell’euro, gli interventi finanziari della BCE, il basso prezzo del petrolio,
ed il valore dei tassi passivi ormai prossimo allo zero. Inoltre segnalano
“la moderata risalita dei consumi, e l’apporto delle esportazioni”:
sostanzialmente quasi tutti motivi esogeni (meno i consumi) alla sfera di
azione nazionale. Allora il quesito vitale al quale dare una risposta
adeguata diventa il seguente: stiamo operando come sistema paese per creare
le condizioni interne che ci possano consentire di almeno mantenere (dovremmo
invece migliorarlo consistentemente) l’attuale trend positivo dell’economia
nazionale, una volta venute meno le condizioni esogene? O non corriamo il
rischio di dover constatare, come già avvenuto altre volte, che l’esaurirsi
dei fattori esterni positivi possa riproporre inesorabilmente la fragilità e
la caducità del sistema economico italiano? Che paga sempre “un prezzo più
alto” degli altri paesi alla negativa dinamica congiunturale. Ma se
allarghiamo il cono di osservazione dell’analisi prospettata dagli organismi
dell’osservazione congiunturale dobbiamo purtroppo constatare che l’indice di
crescita dell’Italia per il 2015 è superiore soltanto a quello della Grecia
(-1,4%), e quasi allineato a quello dell’Austria (+0,7%). Mentre risulta
nettamente inferiore al valore medio sia dei paesi dell’area euro (+1,6%),
che dell’insieme dell’Ue (+1,9%). Ed ancora con riferimento al sistema
economico mondiale, il nostro Paese evidenzia lo stesso trend del Giappone,
ma risulta in consistente ritardo rispetto alla Germania (+1,7%), alla Spagna
(+3,1%), alla Francia (+1,1%), al Regno Unito (+2,5%), agli Stati Uniti
(+2,6%), ed alla media mondiale (+3,1%). Questo
è solo un aspetto della situazione in atto; a ciò si aggiunge un ulteriore
elemento di forte preoccupazione, evidenziato sempre nel rapporto del
commissario UE Moscovici, che segnala un ulteriore continuo peggioramento
della PRODUTTIVITA’ del sistema Italia; fattore questo di vitale e
prioritaria importanza per un paese moderno, avanzato e industriale. La
significativa rilevanza di questo parametro sta nel fatto che esso indica la
difficoltà dell’Italia a realizzare in tutti i luoghi produttivi pubblici e
privati, in minor tempo, più valore aggiunto, in costanza dei fattori della
produzione. Siamo uno dei pochissimi paesi del continente europeo con questa
caratteristica negativa. Tutto ciò sembrerebbe motivare le conclusioni a cui
è pervenuto uno studio di Standard & Poor’s,
che segnala la bassa profittabilità (parametro che indica per le aziende il
ritorno sul capitale) del sistema industriale nazionale. Tale parametro nel
2014 ha registrato un valore pari al 4,5%, che rappresenta appena il 72,6%
del valore medio registrato nei paesi dell’Unione Europea (è stato pari al
6,2%). Questo è uno degli elementi che dà anche una spiegazione delle
difficoltà in atto nel cercare di attirare investimenti di capitali esteri.
Ma se la produttività non inverte questo trend negativo, non potrà essere
certamente l’attuale contenuto aumento dei consumi privati a sostenere il
livello di crescita necessario per l’Italia a recuperare i ritardi in atto
rispetto ai paesi concorrenti; e comunque senza una crescita strutturale e
competitiva non ci potrebbe essere sviluppo strutturale del Paese. Anche
perché l’attuale limitato e contenuto aumento dei consumi in atto ha già
prodotto un tasso di aumento delle importazioni superiore a quello di
crescita delle esportazioni; intaccando così il precedente saldo positivo
della bilancia commerciale. Ed allora dobbiamo chiederci: su cosa poggia
l’ottimismo oggi diffuso, che rischia ancora una volta di dissipare le buone
indicazioni macro economiche oggi riscontrate? Vedremo nei prossimi giorni
quali indicazioni scaturiranno dal dibattito parlamentare sulla legge di
stabilità, e se verranno prospettati provvedimenti che diano un senso di
maggiore efficacia, e quindi di più significativa ed incisiva azione di
governo. Roma, 13
novembre 2015 |
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